Progetto di Giuseppe Perugini, Mario Fiorentini, Nello Aprile – Roma 1949
Articolo di Stefano Abbadessa Mercanti
Una bambina in una strada di Roma, che piange.
E’ il 24 marzo 1944. Le S.S. portano via suo nonno insieme ad altre persone verso quello che più tardi sarà denominato “l’eccidio delle Fosse Ardeatine”.
Aveva undici anni quando si aggrappò alle gambe di suo nonno, legato ed incolonnato dalla polizia nazista sotto il comando di Kappler. E quando un mitra la puntò sul viso.
Non aveva paura di loro, voleva solamente suo nonno.
Un prete, urlando, si mise tra di loro, disse in tedesco che era solo una bambina, una bambina che voleva suo nonno.
Il militare abbassò l’arma, si voltò e la colonna ripartì, densa di vite alla deriva, diretta alle cave sulla via Ardeatina, lasciando una bambina piangente sul bordo di una strada.
Non so come ma il nonno tornò.
Quella bambina era mia madre.
Ho voluto iniziare raccontando una microstoria familiare perché parlare delle Fosse Ardeatine, per noi romani, é raccontare la storia vissuta dai nostri genitori e dai nostri nonni ed io, ogni volta che visito il mausoleo, non posso prescindere da questa immagine che mi accompagna sin dall’infanzia, materializzata attraverso il racconto di mia madre.
La storia è nota. Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani diede atto, in via Rasella, ad un attentato contro un reparto armato delle S.S.. Morirono 33 tedeschi e ci furono molti feriti. Hitler intimò la fucilazione di dieci italiani per ogni tedesco ucciso.
Fucilarono all’interno delle cave 335 persone: alcuni esponenti della Resistenza romana, altri rastrellati per caso ed altri ancora soltanto perché ebrei. Comunque tutti estranei all’azione di via Rasella.
I corpi vennero occultati facendo esplodere delle mine che aprirono la volta della cava.
Oggi possiamo ancora vedere questa lacerazione del terreno, rafforzata da un progetto inaugurato nel 1949 e firmato dagli architetti Giuseppe Perugini, Mario Fiorentini e Nello Aprile che, insieme, idearono il Sacrario delle Fosse Ardeatine.
Un progetto semplice e severo che comprende il Mausoleo e le grotte dell’eccidio. Nel piazzale esterno svetta il gruppo scultoreo dei Martiri di Francesco Coccia e la cancellata d’entrata é di Mirko Basaldella.
Il mausoleo é una grande aula dove sono raccolte le salme in una sequenza di bare replicate, equidistanti e parallele a loro stesse; in un buio tagliato da una lama di luce che illumina il vuoto tra loro e il grande masso rettangolare (misura 50×25 metri) di cemento armato in un unico blocco che sovrasta il tutto come un’immensa pietra tombale. Simbolicamente vuole rappresentare l’oppressione della tirannia nazista e l’occultamento dei cadaveri perpetrato in questo luogo. L’immenso peso degli orrori dell’umanità non lascia scampo se non per quel sottile raggio di luce che filtra tutto intorno.
La semplicità del progetto é la sua forza espressiva più intensa. Gli interventi realizzati nelle gallerie sono solo alcune pareti di massi tufacei ed alcuni pilastri necessari per sostenere i due grandi squarci prodotti dalle mine. Quasi sempre l’architettura prende forza più dal sottrarre che dall’aggiungere.
Un’interessante opera di architettura per una pagina della nostra storia.