di Stefano Abbadessa Mercanti
Quando si percorre la pianura Pontina, con le sue strade parallele e la terra piatta tagliata dai canali d’irrigazione della bonifica, specie nei giorni d’estate quando l’afa la fa da padrona e la vista all’orizzonte perde la sua fissità, le parole di Sant’Agostino tornano alla mente pensando a tutte quelle persone che dal XV secolo hanno perduto la loro vita a causa di questo territorio malarico: “… l’uomo si porta dentro la sua precarietà, la testimonianza del suo peccato e della Tua volontà di resistere ai superbi, e che tuttavia, piccola parte della Tua creazione, vuol celebrare le Tue lodi. Sei Tu che susciti in lui questo desiderio, perché Tu ci hai fatti per Te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te.”
Credo che in ogni contadino che nell’ultimo secolo ha lavorato queste terre, ci sia incosciamente una parte del pensiero che Agostino d’Ippona ha illustrato nelle sue Confessioni e che la nostra cultura ci ha tramandato per secoli. Migliaia sono stati i morti nell’ultima bonifica e soltanto con la rassegnata consapevolezza di essere totalmente affidati a Dio ed al suo volere hanno potuto accettare di rischiare la propria vita. Arrivare a Ninfa attraverso questo territorio che la Cassa del Mezzogiorno voleva trasformare in un distretto industriale, in parte riuscito e in parte costellato da industrie oggi abbandonate ed alcune in grave crisi produttiva, è un tuffo improvviso in una condizione onirica dell’esistenza, densa di un profondo senso romantico della morte. Il giardino di Ninfa nasce in una città morta, da secoli. Il territorio intorno è brullo e difficile: da una parte i monti Lepini aridi e pietrosi con Norma che si affaccia da una terrazza naturale a guardare la pianura sottostante e dall’altra la terra piatta e monotona.
Come architetto, oggi, mi domando che senso abbia realizzare un giardino di questo tipo in un territorio che sembra rifiutarlo in ogni momento del volgere del sole. Oggi l’architetto-paesaggista cerca di interpretare l’anima del luogo, va alla ricerca della sua essenza, accettando anche la durezza e la violenza che un territorio esprime e attraverso la sua identità elabora e idea un “nuovo” Luogo.
Quando si percorre il giardino, attraverso le vecchie mura di questa città estinta ci si immerge nel desiderio di Gelasio Caetani, che negli anni venti del 1900 iniziò il restauro di Ninfa e volle dare inizio al giardino che noi oggi possiamo ammirare. Già allora il concetto realizzativo di questo giardino si poteva considerare legato al passato, piu’ ottocentesco che contemporaneo ai futuristi. Più legato ad un ideale romantico dell’esistenza che a un vigore attivo e intraprendente in voga a quei tempi.
Nel mio lavoro di creativo domando spesso a me stesso se sia sbagliato assecondare i nostri desideri, i nostri sogni per restare legati alle forme espressive del tempo in cui viviamo. Per forza di cose siamo sempre figli del nostro tempo, le nostre scelte dipendono dal mondo che ci circonda e da questo ne siamo influenzati. Ritengo, però, che si debba prima di tutto cercare l’intensità emotiva e, quindi, arrivare alla forma espressiva.
Nel mio lavoro, di solito, lascio che l’istinto vada avanti da solo.
Ed è così che mi sono abbandonato in questo giardino tra ruscelli e piante di varia natura. La tenuta di Ninfa si estende su 114 ettari di cui sette a giardino e un’oasi di protezione di 1852 ettari. Le sorgenti erogano nei periodi di magra 700 litri di acqua al secondo fino ad un massimo di 2000 che, dopo la creazione della diga, hanno dato vita ad un lago di 12000 mq. di superficie. L’umidità raggiunge l’85 per cento e la temperatura varia dai 0°C (quasi mai li raggiunge) invernali e i 36 estivi. Inoltre i monti Lepini proteggono la zona dai freddi venti invernali. Questa è la condizione climatica che ha permesso la fusione in un unicum straordinario di tante specie vegetali diverse e di essere, oggi, uno dei giardini più apprezzati e amati d’Italia. Descrivere le piante che lo compongono mi sembra inutile in questo contesto. Credo che Ninfa vada amata nella sua interezza, nelle sue continue variazioni, nello sbocciare di un fiore mentre un’altro muore. Nell’emozione di assistere alla sopraffazione della natura sull’attività umana che si deteriora nel tempo, nello scoprire un affresco su di una parte sovrastata dall’edera. Ninfa è il nostro passato e il giardino è il presente di ognuno di noi. Un guardare oltre la siepe e decidere di non oltrepassarla mai. La vista non arriva mai oltre il recinto, l’universo rimane chiuso, delimitato dai confini labili della natura.