di Gianfranco Mingozzi
VIA DEI PIOPPONI, a Ferrara è la strada della mia infanzia. Quando ero piccolo – 4/5 anni – una mia congenita e persistente asma obbligava i miei a portarmi spesso in città per visite e controlli. E il pediatra abitava nei pressi di quella che per me è diventata la “strada” per antonomasia. Venivo da un piccolo paese affogato nella campagna e il mio occhio di bimbo (sperso tra gli alberi e il verde) era ricolmo e sbalordito da quel magnifico rettilineo di pietre antiche, di grandi case, di alte finestre, di portoni immensi. (E gli anni a venire mi hanno confermato che era una realtà autentica e non la dilatazione di un ricordo infantile).
E’ stato naturale quindi che del mio primo lavoro di autore cinematografico fosse protagonista proprio “Via dei piopponi” (così la strada che parte dal centro di Ferrara era anticamente chiamata).
Dieci minuti di immagini di Corso Ercole 1° in una lunga carrellata dal Castello degli Estensi ai verdi bastioni che si affacciano sui campi in vista del Po non lontano. Un itinerario della memoria tra pioppi e “fittoni” (gli alti paracarri marmorei che delimitano l’acciottolato della strada), seguendo i passi di un bambino che molti anni prima era venuto dalla provincia e aveva scoperto i muri, le statue, i parchi, i palazzi di una città vicina e sognata, la “città delle cento meraviglie”.
E, attraverso l’ottica infantile, il Castello diventava un baluardo di guerra; le statue ( i putti che sostenevano celebri balconi) personaggi con cui giocare; i giardini, visti attraverso alte cancellate, luoghi magici di fiaba; le punte aguzze di pietra del Palazzo dei Diamanti, armi con cui difendersi da un nemico immaginario; i pioppi e le piccole case all’estremità della strada avvolta nella nebbia, luoghi famigliari a cui tornare dopo un viaggio avventuroso…
E per raccontare visivamente tutto questo, prima della realizzazione del documentario, ho voluto documentare e fissare fotograficamente, passo dopo passo, ogni immagine ricordata in un lavoro di sceneggiatura visiva (che purtroppo però non può dare il senso del movimento, dell’occhio che, camminando, scruta e accarezza quello che vede e sceglie) come per fissare, puntigliosamente e per sempre, un’età ormai lontana e spesso rimpianta.