di Stefano Abbadessa Mercanti
Un elegante skyline di tre enormi strutture, che sembrano fluttuare nell’aria, appare nel verde della collina alberata di Villa Glori tra il quartiere Flaminio e la collina dei Parioli.
La città della musica di Roma va a colmare un vuoto urbano dando l’impressione di essere un elemento della città presente da sempre.
Progetto romano e solo romano. Difficilmente un’architettura si fonde così pienamente con una città, con un territorio.
Il progetto ha previsto, oltre alla realizzazione delle sale da concerto, la creazione di una collina artificiale da destinare ad area verde, interna alla struttura stessa, con un sottostante parcheggio.
Il nuovo parco realizzato, esteso circa tre ettari con quattrocento nuove piantumazioni, é diventato naturale prosecuzione della vicina Villa Glori.
Quando si é nella cavea, che fa da perno alle tre sale a forma di scarabeo e ad un grande basamento rivestito con mattoni a “faccia vista” che include gli ambienti a servizio della struttura, si ha la sensazione di essere in una interpretazione del concetto di “agorà”, così già ben espresso in questa città.
Tre sale da concerto: una da 2700 posti realizzata a terrazzamenti dedicata alla musica sinfonica, una da 1200 posti e una da 700 posti. Il tutto é progettato per essere a servizio della musica: le tre sale, realizzate con una struttura in legno lamellare e acciaio, rivestita all’esterno con lastre di piombo e all’interno in legno di ciliegio, sono concepite come delle immense casse armoniche. Stare nella sala maggiore dà la sensazione di trovarsi all’interno di un violino.
La volontà dell’amministrazione comunale era, innanzi tutto, quella di ridare alla città, dopo la distruzione dell’Augusteo avvenuta nel lontano 1935, un auditorium di proprietà pubblica e di notevole prestigio.
La scelta di questa localizzazione fu dettata principalmente da due circostanze: il bisogno di un terreno particolarmente esteso non eccessivamente lontano dal centro città e l’esigenza di colmare un vuoto urbano che divideva due quartieri.
L’intento di metterli in relazione non sembra, però, ancora realizzato pienamente. I Parioli con Piazza Euclide appaiono lontani, staccati dalla vita nuova creatasi vicino e così anche il quartiere Flaminio, con le vicine strutture sportive progettate da Nervi.
Finiti i concerti la gente migra al parcheggio adiacente, lasciando il luogo scarno della propria identità.
Roma é splendida ma, estendendosi sempre di più nelle periferie, perde forza e vigore nella sua identità. A volte, come lampi nel buio, dei segni indicano nuove apparizioni nel tessuto urbano. Però se queste singolarità non riescono a diventare elementi vivi di un processo urbano evoluto si può rischiare di perdere anche il nuovo valore acquisito.
E’ questa la sensazione che si ha visitando la città della musica, un’isola in un oceano urbano.
Un progetto che si fonde con la morfologia del territorio e con il carattere intrinseco della città ma privo delle interconnesioni con l’entità urbana precostituita. L’urbanistica fa le città più della buona architettura.
Le città sono fatte di legami, di comunicazioni, di flussi che si incrociano tra di loro, si mescolano e danno vita ad “eventi”. Qui le energie, come dei campi magnetici, le passano accanto, la sfiorano ma non riescono ad attraversarla.
E la sera, quando le luci dell’ultimo concerto si spengono e il pubblico va via, la grande cavea centrale da “piazza” della Città della musica, dietro la cancellata chiusa, diventa solo uno spazio vuoto e solitario.
Sguardi.info
VA CULTURE