di Bianca Silvestri
SALTO 1974
Sperduta nel mare verde della prateria uruguayana, la città di Salto vive quieta come sospesa nell’attesa di morire.
Le giornate si susseguono lente, monotone e scuotono i nervi di tre amiche Solange, Carmen e Nacha che cercano invano di dare calore alla loro esistenza. Tutti i loro sforzi naufragano, inghiottiti da quell’isolamento geografico e dal controllo ossessivo di una dittatura militare tra le più subdole. Tutte le menti vive e indipendenti sono state messe a tacere, sparite, forse fuggite.
La gente ha paura a uscire di casa. Gli arresti si susseguono con tale rapidità da pensare che anche i muri abbiano occhi e orecchie. Nessuno si fida più di nessuno. I discorsi si sono fatti generici e convenzionali. La paura si è rivelata una buona arma per il controllo della popolazione.
Un’ombra scura è scesa nel cervello delle persone e oscurato un paese pieno di sole. Arresti in piena notte, irruzioni nelle case, sparizioni, corpi ritrovati mutilati, torturati, restituiti dal grande fiume hanno fatto conoscere il terrore a cittadini abituati alla creatività e alla libertà di parola.
Le tre amiche si ritrovano tutti i giovedì pomeriggio per un tè di mate nel patio delle loro case. Prendere il mate insieme le rassicura, è un’abitudine che ha rafforzato la loro amicizia sin dai tempi dell’Università, non mancherebbero quell’appuntamento per nessuna ragione al mondo.
I loro incontri si svolgono in silenzio. Le accese discussioni di un tempo si sono spente, sopraffate dai drammi che le hanno coinvolte. Non s’infervorano più nelle discussioni politiche, esistenziali o culturali. Non riescono più a parlare nemmeno del loro presente, perché sono state private del loro futuro.
Nessun essere umano può accontentarsi di vivere giorno per giorno, tanto meno loro che erano abituate al ragionamento per comprendere gli avvenimenti e per dare significato alle loro vite.
Anche se non ne parlano più, il bisogno di vivere liberamente, di esprimersi, di essere padrone del loro destino non si è assopito. Coltivavano, nel loro intimo, l’illusione che un giorno si riprenderanno le loro storie interrotte. Così ogni tanto una di loro dice una frase senza contesto, le altre due rispondono continuando una dissertazione iniziata molto tempo prima. L’argomento più frequente riguarda la specificità dell’essere umano.
Nacha sostiene che l’essere umano è tale in quanto specie linguistica, tutte le esperienze si trasformano in linguaggio, il nostro linguaggio interiore è indispensabile all’attività volontaria e nessuna dittatura può sopprimerlo.
Carmen si batte per la tesi che l’essere umano è tale in quanto capace di darsi delle leggi e quando esse sono troppo costrittive non resta che la morte o la ribellione.
Solange cerca di mediare sottolineando che tali speculazioni sono il frutto della loro formazione professionale e che forse solo la pietas è degna di attenzione, quel sentimento di amore, di comprensione verso l’essere umano che per lei non è sentimento religioso, ma senso civico.
L’autocensura che si è impadronita delle loro menti, dopo l’enunciato le fa tacere e sposta la discussione nelle teste, mentre il mate gira lento nelle loro mani.
Quando il silenzio si fa troppo pesante, lo interrompono con lunghi formali saluti per congedarsi.
Una volta le loro riunioni erano gaie, le discussioni serie si alternavano alle facezie, all’ironia. Commentavano le loro serate al Teatro Larrañaga, le opere rappresentate, gli attori, la musica e non da ultimo i pettegolezzi sugli spettatori. Quando c’era qualche rappresentazione lirica al Teatro Solís di Montevideo erano capaci di partire la mattina con l’autobus di linea, percorrere cinquecento chilometri e ritornare con l’ultimo autobus della notte. Era soprattutto Nacha, fedele alle sue origini italiane, a coinvolgere le altre due nella passione per la musica operistica.
Dopo l’avvento dei militari, una censura cieca e pesante aveva fatto chiudere i teatri. Molti degli attori, registi, poeti, scrittori furono arrestati, molti sparirono, altri fecero in tempo a fuggire all’estero, solo alcuni rimasero e cercarono di mantenere in vita l’unico teatro rimasto aperto a Montevideo, il Teatro Circular che cominciò una denuncia con opere di critica sociale camuffate per non incorrere nella censura. Le tre donne non ebbero più il coraggio di avventurarsi fino nella capitale.
Continua…