RACCONTI DI VIAGGIO
di Stefano Abbadessa Mercanti
Siamo tornati oramai da tre giorni dal nostro viaggio in Cambogia e se devo riassumere sinteticamente questo viaggio mi vengono in mente immediatamente gli occhi neri di un bambino.
Un fanciullo che aiuta suo padre sulla barca, portando i turisti a visitare il villaggio di palafitte che lungo il fiume Sanker muore sul lago Tonlé Sap.
Sono i suoi occhi che ho fissi nella mente, neri.
In alcuni momenti sorridenti e in altri schivi e distaccati.
Eravamo tutti e diciotto su quella barca, nell’acqua fangosa di una stagione asciutta, troppo asciutta.
Uomini che pescavano con le reti in una poltiglia di terra e acqua, dove fanno il bagno e che, anche, bevono.
Noi sulla barca a fotografare le mangrovie e le loro vite, appese a pilasti di tronchi d’albero alti quattro o cinque metri. Sospesi nell’aria per evitare di affogare con le loro case di legno e lamiera nei periodi delle piogge.
Eravamo, noi, nel caldo umido di un inverno che da loro è sempre caldo, caldissimo e umido, che osservavamo le loro vite e scivolavamo lentamente via.
Alla fine del fiume, l’immenso lago.
Una grande laguna dove ci aspettava un locale galleggiante per turisti, con molte cose che da noi non avremmo apprezzato: coccodrilli ingabbiati nell’acqua a far bella mostra, portafogli e borse fatte con le loro pelli e qualcuno che se vuole può mangiare la loro carne.
Un sole forte su di noi ed io faccio fatica con tutta quell’umidità.
Quegli occhi neri ci aspettano per tornare sulla terra ferma e così ripartiamo.
Sono gli stessi occhi dei bambini che incontriamo più avanti in una scuola sotto una baracca, sulla terra con dei banchi piccoli e rudimentali ed una bambina a piedi nudi legge qualcosa ai suoi compagni di classe.
Noi regaliamo penne, quaderni, matite e sorridiamo.
Sorridiamo, forse, consapevoli che noi siamo i “fortunati”.
Eppure quando abbiamo visitato la scuola di un villaggio nella campagna, all’interno del paese, abbiamo tutti con entusiasmo comprato cose per la scuola.
Anche giocattoli e palloni di gomma.
Eravamo felici di poterli regalare e cercare di dare un pò di felicità a quegli bambini.
Eravamo sinceri ed emozionati.
Tornato a casa non posso non pensare a loro ma poi mi vengono in mente anche altri momenti.
Ho visto bambini giocare a terra, sporchi e con abiti vecchi, li ho visti al mercato, li ho visti sulle strade.
Li ho visti correre, li ho visti ridere. Li ho visti felici.
Lungo il viaggio mi si sono rotti gli occhiali e un tecnico di telefonia me li ha aggiustati e non ha voluto essere pagato.
Ho comprato delle cose con banconote ancora poco, per me, decifrabili e mi sono stati dati soldi indietro perché ne avevo dati in eccesso.
Li vedevo sorridere davanti a squarci di carne esposta tra le mosche e il nauseante odore.
E il nostro viaggio, osservando loro e il loro paese è andato avanti per quasi due settimane tra monumenti fantastici, cucina che ci sembra simile a quella cinese, città moderne, odori forti e fiumi di fango, foreste, campi infiniti di riso, frutti tropicali.
Tra le tante foto, tra le tante cose viste, il mio ricordo si ferma e fissa dentro di me quegli occhi neri.